La liquidazione del danno biologico alla luce della sentenza 25164/2020 della Corte di Cassazione
Nella nozione di “danno non patrimoniale” rientra il c.d. danno biologico, che consiste nella lesione del bene salute, tutelato dall’art. 32 Cost. e privo di valore monetario intrinseco. La definizione di “danno biologico” è contemplata negli artt. 138, comma 2, lettera a) e 139, comma 2 del d.lgs. 209/2005 (codice delle assicurazioni private) e consiste nella “lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona, suscettibile di accertamento medico-legale, che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito.” Ne deriva che anche il soggetto non produttivo di reddito, e senza prospettive di produrlo in futuro, ha diritto al risarcimento del danno biologico. Questa puntualizzazione, che oggi può sembrare superflua e scontata, è importante, se si pensa che negli anni ’70 il danno alla salute veniva anzitutto visto come perdita della capacità lavorativa, tant’è che i giudici, in fase di liquidazione del danno, assumevano come unico parametro il reddito della persona danneggiata.
Per la liquidazione del danno biologico gli artt. 138 e 139 cod. ass. prevedono la predisposizione di tabelle, valevoli su tutto il territorio nazionale e peraltro mai attuate. Il dato di tabella, tuttavia, costituisce solamente la base di partenza per una valutazione che va adattata di volta in volta al caso concreto. Il giudice, infatti, ha il potere di discostarsi dal risultato che deriverebbe dall’automatica applicazione delle tabelle, al fine di dare concreta attuazione al c.d. principio della personalizzazione. Invero, l’art. 138, comma 3, cod. ass., prevede che “qualora la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali, l’ammontare del danno determinato ai sensi della tabella unica nazionale può essere aumentato dal giudice sino al 30%, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato.”
A fronte della mancata approvazione della tabella unica nazionale, la giurisprudenza ha statuito che i criteri legali di quantificazione del danno non patrimoniale da c.d. micropermanenti (cioè da lesioni di lieve entità) dettati dall’art. 139 cod. ass. trovano applicazione allorquando queste ultime siano conseguenza di sinistri derivanti dalla circolazione di veicoli a motore e di natanti ovvero derivino dall’esercizio della professione medica (medical malpractice). In tutte le altre ipotesi, il danno deve liquidarsi facendo applicazione dei criteri indicati nelle “tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all’integrità psico-fisica” predisposte dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Milano e vigenti al momento della decisione.
Nella nozione di “danno non patrimoniale”, va altresì ricondotto il c.d. danno morale soggettivo, di natura meramente emotiva, inteso come patema d’animo, sofferenza interiore. Si tratta di un danno-conseguenza poiché consiste nel dolore che si prova per effetto di un’altra lesione (il danno-evento), ma non è detto che consegua automaticamente a quest’ultimo: si tratta quindi di un danno eventuale.
La Corte di Cassazione si è recentemente pronunciata sul tema con la sentenza n. 25164/2020, pubblicata il 10 novembre scorso. I fatti di causa riguardano il signor P. F., che conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Trieste una società assicurativa (designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada) chiedendo il risarcimento dei danni patiti in conseguenza di un sinistro stradale, poiché mentre circolava a piedi veniva investito da un autoveicolo rubato. La Corte d’appello di Trieste liquidava il danno al signor P.F. applicando le tabelle di Milano ed aumentava l’importo riconosciuto per invalidità permanente del 25%, a titolo di personalizzazione del danno. Infine, il giudice di secondo grado accordava al signor P.F. un’ulteriore somma a titolo di danno morale, ritenendo che le sofferenze della vittima fossero meritevoli di un compenso aggiuntivo rispetto alla personalizzazione.
Tra i motivi di doglianza della compagnia assicurativa, che proponeva il ricorso in Cassazione, spicca il fatto che il giudice di secondo grado avrebbe liquidato due volte il pregiudizio morale sofferto dal signor P. F. poiché le tabelle milanesi sono fondate su un sistema che incorpora il pregiudizio morale nel valore monetario di ogni singolo punto di invalidità.
La Corte di Cassazione, nella sentenza in esame, dopo aver ribadito che la voce di danno morale deve mantenere la sua autonomia e non è conglobabile nel danno biologico, stila una sorta di vademecum per i giudici di merito, illustrando loro come si dovrebbe procedere in fase di liquidazione del danno alla salute.
Innanzitutto bisogna accertare la presenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale; poi, in caso di positivo accertamento della presenza anche di quest’ultimo, si deve determinare il quantum risarcitorio applicando le tabelle di Milano, che prevedono la liquidazione di entrambe le voci di danno, ma pervengono (erroneamente) all’indicazione di un valore monetario complessivo, costituito dalla somma aritmetica di entrambe le voci di danno.
Nel caso in cui, invece, si accerti la mancanza della componente morale del danno, si deve considerare solamente la voce del danno biologico, depurata dall’aumento previsto dalle tabelle per il danno morale, liquidando, conseguentemente, solo il danno dinamico-relazionale.
In caso di positivo accertamento dei presupposti per la c.d. personalizzazione del danno, invece, si procede all’aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato dalla componente morale del danno, automaticamente (ma erroneamente) inserita nelle tabelle milanesi.
Nel caso in esame, la Corte d’appello di Trieste ha sì riconosciuto l’autonoma risarcibilità del danno morale, ma non ha considerato che tale voce di danno fosse già ricompresa nel valore monetario complessivamente indicato nella tabella applicata.
La Suprema Corte ha così cassato la sentenza impugnata con decisione nel merito, eliminando le poste di danno relative alla personalizzazione, perché non spettante, e al danno morale, poiché già ricompreso nel valore monetario indicato nelle suddette tabelle.
Dott.ssa Roberta Conti
23-12-2020