Quando il Mobbing sul lavoro può integrare il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi?

Il fenomeno del c.d. mobbing presuppone la reiterazione di pratiche persecutorie finalizzate a isolare e mortificare il dipendente nell’ambiente lavorativo.

Nello specifico, secondo la prevalente giurisprudenza giuslavoristica, l’anzidetto fenomeno si configura “ove ricorra l’elemento obiettivo, integrato da una pluralità di comportamenti del datore di lavoro, e quello soggettivo dell’intendimento persecutorio del datore medesimo” (Cass., Sez. Lav., 21 maggio 2018, n. 12437).

Dal punto di vista penalistico, nella legislazione vigente non esiste uno specifico reato di mobbing. Tuttavia, considerata la varietà di forme che in concreto le condotte vessatorie possono assumere, alcuni dei comportamenti posti in essere dal datore di lavoro potrebbero astrattamente integrare diverse fattispecie criminose.

In particolare, oltre alla eventuale rilevanza penale dei singoli atti discriminatori, la giurisprudenza più recente ha valorizzato l’elemento della reiterazione degli stessi al fine di ritenere configurato il reato di maltrattamenti contro familiari o conviventi ex art. 572 c.p.

Infatti, la fattispecie in questione prevede che la persona lesa dalle ripetute condotte maltrattanti, oltre ad essere un membro della famiglia o un convivente, possa essere una persona sottoposta all’autorità o affidata all’autore del reato per ragioni di educazione, istruzione, cura, vigilanza o custodia, o per l'esercizio di una professione o di un'arte.

Pertanto, la Suprema Corte in via esegetica ha ritenuto possa configurarsi la fattispecie prevista dall’art. 572 c.p. quando il datore di lavoro “ponga in essere nei confronti del dipendente comportamenti del tutto avulsi dall’esercizio del potere di correzione e disciplina, funzionale all’efficacia e la qualità lavorativa, e tali da incidere sulla libertà personale del dipendente determinando nello stesso una situazione di disagio psichico” (Cass. Pen., sez. VI, 28 settembre 2016, n. 168819).

È opportuno sottolineare come la fattispecie di cui all’art 572 c.p. si riferisca esclusivamente a ripetuti maltrattamenti verificatesi in ambito familiare o comunque ricollegabili a rapporti di tipo para-familiare. Pertanto, affinché possa ritenersi integrato il reato in questione, è necessario che tra il datore di lavoro e il dipendente vi sia un rapporto “caratterizzato da relazioni intense e abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti, dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia” (Cass. Pen., sez. VI, 13 febbraio 2018, n. 14754).

Inevitabilmente, vista la fisionomia della fattispecie prevista all’art. 572 c.p., per quanto non sia stato esplicitamente indicato dalla Corte di Cassazione, nella prassi risulta probabile che, le condizioni appena elencate, si verifichino in piccole imprese o comunque in uffici di modeste dimensioni, ove il Mobber lavori a stretto contatto con i dipendenti a tal punto da sviluppare con essi dinamiche tipiche delle relazioni familiari.

dott. Paolo Simone Veschetti

14-04-2023