L’intelligenza artificiale può essere titolare del diritto d’autore?

Il continuo sviluppo dei sistemi di Intelligenza Artificiale, in forma abbreviata “IA”, porta con sé numerosi interrogativi giuridici. Tra questi spicca la possibilità di attribuire all’IA i diritti autoriali. Il tema si pone con particolare riguardo ai sistemi detti di GAN (generative adversarial network), che operano tramite sistemi di reti neurali.

In concreto, queste macchine simulano il ragionamento umano e sono in grado di produrre output in modo totalmente autonomo, relegando l’intervento umano alla sola fase iniziale di addestramento del software. L’estraneità dell’uomo rispetto al lavoro generato dalla macchina è dimostrata anche dal fatto che tale risultato è assolutamente imprevedibile e inimmaginabile da chiunque, anche dallo stesso programmatore.

Capire il funzionamento dell’IA è il primo passo per comprendere se le sue creazioni possano rientrare nella definizione di opere creative tutelate dal diritto d’autore.

La Legge sul diritto d'autore (L. 633/1941) stabilisce come unico requisito per la protezione autoriale il carattere creativo dell’opera. Tale termine viene inteso come la necessaria espressione della personalità dell’autore nella sua creazione. Evidentemente si tratta di un primo ostacolo alla tutela delle opere generate dall’IA, che, in quanto “software”, è assolutamente priva di qualsiasi personalità. Infatti, non ha propri interessi, proprie inclinazioni, proprie emozioni o una propria anima. In Dottrina è stata proposta una soluzione, che permetterebbe di superare questo limite. Nello specifico, Shlomit Yanisky-Ravid e Luis Antonio Velez-Hernandez hanno suggerito l’oggettivizzazione del requisito del carattere creativo, che sarebbe da valutare sulla base di due parametri oggettivi: la percezione del pubblico e l’analisi comparativa di somiglianza con le opere precedenti.

Se anche si volesse adottare questa tesi, non si potrebbe comunque decretare la tutelabilità delle opere AI-generated tramite il diritto d’autore. Infatti, dottrina e giurisprudenza sono concordi nel ritenere che l’autore debba necessariamente essere un soggetto umano. Tale requisito viene ricavato dalla lettura di più norme. In primis, dall’art.6 l.d.a. che tutela l’opera creata tramite il “lavoro intellettuale”. Questo elemento esclude dalla definizione di autore qualsiasi soggetto privo di intelletto. La stessa previsione è contenuta poi anche nel comma 2 dell’art.1 l.d.a. in materia di banche dati. Inoltre, l’art.23 l.d.a. stabilisce che dopo la morte dell’autore i diritti del de cuius vengano esercitati dal coniuge. Anche da questa previsione legislativa emerge chiaramente l’implicito requisito di umanità richiesto per l’autore, in quanto solo un soggetto umano può avere un coniuge.

In conclusione, è evidente come il nostro ordinamento sia ancora strettamente ancorato all’idea dell’autore “romantico”, ossia il genio umano che riesce a rappresentare la propria personale visione della realtà nelle opere che crea. Non c’è spazio, invece, per l’IA, che viene riconosciuta solo come mero mezzo per raggiungere un obiettivo finale, esattamente come la macchina fotografica serve al fotografo per scattare una fotografia e come i pennelli servono al pittore per dipingere.

Ad oggi, quindi, le opere create dall’Intelligenza Artificiale non sono tutelabili tramite il diritto d’autore, salvo che il soggetto che opera dietro alla macchina dimostri di aver apportato un proprio contributo rilevante nel processo creativo. È il caso, ad esempio, della sedia “A.I.” di Kartell, disegnata da un’intelligenza artificiale, sotto supervisione del designer Philippe Starck, al quale spettano i diritti morali d’autore.

Almeno in ambito creativo l’uomo sembra mantenere un vantaggio sulla macchina: la personalità giuridica.

Dott.ssa Ilaria Rubessi

21-03-2024